La terra trema, niente panico

In giappone, a volte, la terra trema. Quando dico a volte, intendo dire che i terremoti sono  abbastanza frequenti da cadere nella categoria delle cose ‘perfettamente normali’.

Da quando sono a Tokyo, ho percepito in media un terremoto a settimana. A questa media approssimativa e del tutto non scientifica vanno aggiunti tutti quei terremoti che ci sono ma che non vengono sentiti, vuoi perchè si sta dormendo, vuoi perchè al primo piano il tremore è appena percettibile, vuoi perchè l’epicentro è troppo lontano.

I giapponesi, a quanto pare, in mezzo ai terremoti ci sono nati e cresciuti e ne parlano come noi parlemmo di una noiosa giornata di pioggia. Dal ‘Deh, hai visto oggi come veniva giù’ al ‘Deh, hai sentito oggi che scossone ci ha dato’ il passo è molto breve.

Per chi nato e cresciuto, come me, in un paese dove un terremoto di magnitudo 3 fa notizia, il terremoto è e rimane un argomento piuttosto caldo.

La prima volta che la terra ha tremato, a tre giorni dal mio arrivo, mi ha colto – lo ammetto – piuttosto impreparata. E quando dico impreparata, intendo che sì, mi ha abbastanza terrorizzata. Come prima, istintiva, reazione mi sarei tanto volentieri lanciata fuori casa, lontano da mura che possono cedere, lontana da oggetti che possono cadere.

Ma qui le regole parlano chiaro. Se c’è un terremoto, si sta in casa. È il posto più sicuro. Se ci si trova per strada, meglio rifugiarsi sotto una tettoia o qualsiasi cosa possa riparare da eventuali oggetti in caduta. Se suona la sirena, allora ci si dirige al punto di evacuazione. Se non suona, allora tutto a posto, niente di cui preoccuparsi.

 

Il secondo terremoto, invece, è avvenuto mentre ero in un luogo pubblico e finalmente ho potuto apprezzare la reazioni dei giapponesi: in una parola, il nulla. Letteralmente. Se ne restano tranquilli, pacati, al loro posto, continuando le loro attività. Al massimo, se l’intensità delle scosse lo richiede, si coprono la testa (infilandosi sotto un tavolo o usando un cuscino) per evitare di essere colpiti da oggetti in caduta.

Non c’è panico, non c’è disordine. Mentre io dentro muoio, loro continuano la loro routine.

La prima cosa che mi sono chiesta è: perchè? Diamine, ma come fanno?

La prima risposta è che gli edifici sono sicuri. Costruiti in modo tale da resistere a scosse anche violente, frequentemente manutentati, quando diventano ‘vecchi’ e quindi potenzialmente a rischio vengono semplicemente demoliti e rifatti. Le costruzioni sono fatte per dondolare insieme al terremoto. Ai piani più elevati il dondolio è ovviamente più accentuato. La sensazione non è certamente delle più piacevoli, ma a quanto pare vige la  regola ‘se dondola, va tutto bene’ (a me questo in genere provoca vertigini per qualche minuto, abbastanza da assillare chi mi sta attorno ‘Ma ci sono scosse d’assestamento o sono io?’).

In secondo luogo, i terremoti di solito vengono previsti con un anticipo di qualche manciata di secondi. Tutta la popolazione riceve un avviso sul proprio cellulare dell’emminente arrivo di una scossa. Quando questo capita in un luogo pubblico (metro, ufficio, bus, etc.), l’atmosfera è abbastanza singolare perchè tutti i cellulare si mettono a suonare nello stesso momento.

Si può pensare che un avviso che anticipa la scossa di qualche secondo sia ridicolo. Al contrario, in certi casi può essere molto utile. Pensate, per esempio, si sta scendendo le scale: si ha il tempo di aggraparsi saldamente al corrimano. Oppure si sta bevendo o, peggio, maneggiando dell’acqua bollente: qualche secondo è abbastanza per riuscire ad appoggiare il bicchiere. O ancora, un breve avviso è sufficiente per allontanarsi da mobili, lampadari, etc che potrebbero cadere (anche se, per quanto ho visto, in molti spazi pubblici e addirittura in molte case i mobili vengono inchiodati ai muri per sicurezza).

In terzo luogo, il Giappone ha un piano d’emergenza ben sviluppato. Basti pensare che insieme alle chiavi dell’appartmento mi è stato consegnato anche un libro intitolato ‘Emergency’ che spiega come comportarsi in caso di forti terremoti, dove recarsi in caso sia dato l’ordine di evacuare, cosa portare con sè in caso di evacuazione.

Tutto questo costante senso di incertezza e questo distruggere e ricostruire non fa del Giappone una società nè spasmodicamente angosciata nè tantomeno irriguardosa del passato. Ciò che colpisce è la metodicità commischiata alla tranquillità con cui queste azioni preventive vengono promosse e perseguite giorno per giorno. E ancora di più, ciò che è veramente degno di nota è come il demolire e ricostruire non significhi affatto cancellare. I giapponesi sanno perfettamente da dove vengono e per comprendere dove stanno andando non mancano di ‘portare con sè’ alcuni pezzi del passato. In questo senso, talvolta vengono conservate piccole porzioni degli edifici che sono stati abbattuti perchè non conformi alle più recenti regole antisismiche. Questi piccoli ‘souvenir’ vengono inglobati in edifici nuovi di zecca e non fanno che regalare fascino e sorpresa per la naturale commistione tra il nuovo e l’antico.

Porzione di un edificio abbattuto inglobata all’interno della nuova struttura (Waseda campus)

Non si può che provare un certo senso di stima e una soffocata invidia per una società che riesce a vedere della normalità in eventi tanto destabilizzanti. Ma insomma, come si suol dire, balla che ti passa (o in questo caso meglio dire, dondola che ti passa).

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